Le avete rubato i sogni

Poco più di un anno fa, quando facevo ancora il procuratore della Repubblica, è arrivata nel mio ufficio una ragazzina. Faceva il IV anno di Giurisprudenza e mi ha spiegato che voleva scrivere una tesi sulla lentezza dei processi penali in Italia (cause e possibili soluzioni); e che cercava informazioni sul campo, intervistando magistrati e avvocati. Io l’ho guardata un po’ meglio e ho capito che tutto era meno che una ragazzina. Poi ha tirato fuori un registratore e abbiamo parlato per non so quanto tempo; era così acuta e determinata, così pronta a identificare l’essenziale di ogni problema, che le ore sono volate. E’ andata via ringraziandomi garbatamente. Un anno dopo mi è arrivato un grazioso bigliettino (da ragazzina) su cui era scritto “è solo una tesi …” e una pen drive che la conteneva. Sì, era solo una tesi; molto ben scritta e drammaticamente accurata. Poi l’ho dimenticata: quello che lei aveva scritto lo conoscevo fin troppo bene; e ciò che mi divideva da lei era la meditata sfiducia nelle “possibili soluzioni”, tanto più “impossibili” quanto semplici ed efficaci.Qualche giorno fa la ragazzina mi ha mandato una e-mail: “Si ricorda ancora di me?”, era l’oggetto. Mi ha raccontato che fa la cameriera in un paese straniero dove cerca di “imparare una lingua che a scuola non ho mai studiato” e dove frequenta un master in materie che “non hanno nulla a che fare con i miei sogni di bambina”. Io lo sapevo quali erano i suoi sogni: voleva fare il magistrato. Mi aveva detto, mentre discutevamo della sua tesi, che voleva servire il suo paese. Adesso, mi ha scritto, non sogna più; adesso ha capito che “non potevo sprecare la mia vita per salvare un paese che non vuole salvare se stesso. Che non avrei potuto passare la vita ad applicare leggi espressione di un Parlamento che non mi rappresenta: che dei delinquenti potessero promulgare leggi che facciano in modo che la giustizia funzioni sarebbe stata un’illusione alla quale nemmeno la grande sognatrice che ero poteva credere”. Così, ha scritto, ha deciso di “scendere”; e se ne è andata. Adesso studia e lavora in un altro paese, lontana dai suoi affetti e dai suoi luoghi. E’ – così si è definita – “una piccola fuoriuscita” che ogni giorno legge, con altri come lei, il Fatto, ingoiando una rabbia che l’essere scesa dalla giostra non ammorbidisce. “Poi – mi ha scritto – ci sono giorni come oggi, quando il professore ti prende in disparte e ti chiede: ‘What the hell is happening in Italy?’. Questi sono i giorni in cui non mi importa di essere una straniera che fa fatica a trovare il suo posto nel mondo, tutto quello che so èche sono felice di essere scesa”. Adesso non credo che io e molti altri come me potremo dimenticarla; non lei e nemmeno i “piccoli fuoriusciti” suoi amici. E ora che ho finito di raccontare di Paola, vi chiedo: vi rendete conto di cosa avete fatto a una ragazzina?

da Il Fatto Quotidiano del 20 novembre 2009 di Bruno Tinti

Vittime della strada e della giustizia

Sul manifesto della Giornata Mondiale diffuso in tutti i paesi delle Associazioni di Vittime della strada aderenti alla FEVR, una bambina ci ricorda la data di un compleanno che non ha mai potuto compiere su questa terra.
La sua dichiarazione “oggi compio 25 anni” è struggente, ed il dolore che la sua immagine evoca fa sorgere dentro di noi tanti perché: perché spezzare una vita, perché togliere l’integrità della salute, perché distruggere famiglie, futuro, speranze.
 Solo la superficialità, la rozzezza d’animo, la prepotenza, l’egoismo, l’ignoranza possono operare simili crimini.

Ogni giorno in Italia si verificano in media 598 incidenti stradali, che provocano la morte di 13 persone e il ferimento di altre 849. Nel complesso, nell’anno 2008 gli incidenti stradali rilevati sono stati 218.963. Essi hanno causato il decesso di 4.731 persone, mentre altre 310.739 hanno subito lesioni di diversa gravità. Rispetto al 2007, si riscontra una diminuzione del numero degli incidenti (-5,2%) e dei feriti (-4,6%) e un calo più consistente del numero dei morti (-7,8%).

Nell’Unione Europea, si sono registrati nel 2008 circa 38.859 morti per incidente stradale, l’8,5% in meno rispetto all’anno precedente. Con riferimento all’obiettivo fissato dall’Unione Europea nel Libro Bianco del 13 settembre 2001, che prevedeva la riduzione della mortalità del 50% entro il 2010, l’Italia ha raggiunto quota –33,0%, mentre la diminuzione media della mortalità nel 2008 nei Paesi dell’UE, rispetto al 2000, è pari al 31,2%.

I Paesi che hanno già raggiunto l’obiettivo sono il Portogallo, il Lussemburgo e la Lettonia. I più vicini al raggiungimento dell’obiettivo sono Francia, Spagna e Germania. Fra i Paesi che presentano una riduzione della mortalità compresa tra il 30% e il 40% si ritrovano, oltre all’Italia, l’Austria, il Belgio, l’Estonia, l’Irlanda, i Paesi Bassi, la Slovenia e la Svezia.

Questi i dati emersi dall’ultimo rapporto Istat; dati incoraggianti da un certo punto di vista, dato il costante decremento degli incidenti mortali. Ma questi sono numeri, servono a fotografare un fenomeno, sono utili per farci rendere conto della portata di questo e ci aiutano soprattutto a darci degli obiettivi da raggiungere.

Purtroppo però i numeri sono e restano tali; non tengono conto della sofferenza di ogni famiglia distrutta o della disperazione di una madre che si è vista portare via un figlio o una figlia. Eppure dietro ad ognuna di quelle 4731 persone c’è una storia diversa, una vita spezzata anzitempo a causa di un gesto imprudente o per quell’eccessiva esuberanza giovanile che sfocia in false idee di onnipotenza. Perché i più colpiti sono proprio loro, i giovani; una vittima su tre infatti ha meno di 30 anni.

Il vero dramma arriva, paradossalmente, quando queste storie si trasferiscono nei tribunali, nel momento in cui si cerca di restituire un minimo di giustizia alle vittime.

Una giustizia che puntualmente non arriva, andando ad accumulare la rabbia,il dolore e lo sconforto dei parenti e degli amici delle vittime che devono assistere impotenti alla “seconda morte” dei loro cari.

Ho scelto di portare qui una di queste storie; l’ho trovata mesi fa sul sito dell’associazione per le vittime di incidenti stradali, e la rileggo ogni volta in cui voglio ricordarmi di quanto faccia schifo la giustizia in Italia.

 

Alla cortese attenzione

– Presidente AIFVS Sig.ra Pina Cassaniti

– Segreteria Nazionale

– Tutte le sedi

OGGETTO: CI CALPESTANO GIORNO DOPO GIORNO, E NOI RESTIAMO IN SILENZIO!

 

Ricordo ancora le parole dette da Pina in un congresso tenutosi a Roma nel Febbraio scorso: “ ….e il giudice mi disse: “Signora, il morto è morto. Pensiamo ai vivi.”

Ho meditato tanto prima di decidermi a scrivere questa lettera, e sono stata tentata più volte di restare in silenzio, a bollire nel mio brodo. Ma tacere avrebbe solo contribuito a farmi arrabbiare ancora di più.

Ho perso mio fratello Alessandro in un incidente stradale avvenuto nel Febbraio 2005.

Dopo 2 anni e 3 mesi e 3 rinvii, il 31/05/07 abbiamo finalmente avuto l’udienza preliminare.

Ci hanno fatto entrare in una stanza con fascicoli e fogli sparsi ovunque. Tre sedie, una per il mio avvocato, una per l’avvocato dei miei genitori e l’altra per il difensore dell’imputato. Io, mio padre e mia madre siamo rimasti in piedi per tutta la durata dell’udienza.

Inizia a parlare il mio avvocato, e nel momento in cui viene proposta la costituzione di parte civile dell’AIFVS, tutto il procedimento prende una brutta piega. Il giudice ascolta con aria di sufficienza mentre il P.M inizia a scuotere platealmente la testa e prosegue per diverso tempo in questo teatrino deplorevole e meschino: soffia, sbuffa, alza gli occhi al cielo , scuote le mani volendo far capire che non ne può più di ascoltare. Ma il giudice non è da meno. Tenta di tenere un atteggiamento più contenuto, ma è vistosamente infastidito da tutte quelle parole che sicuramente ritiene offensive della sua autorità. Lo vedo, sta per scoppiare! E poi boom!

Ecco il botto:

“ Ora basta. Tutti questi esempi sono per me inutili. Io sono qui per decidere se ci sono i presupposti per accettare la vostra richiesta. Il fatto che altri tribunali l’abbiano accettata non mi importa niente. Qui sono io che decido. E decido che questi presupposti non ci sono. La richiesta è respinta!” .

L’avvocato prova ad andare avanti cercando di riparare il riparabile, ma ormai è tardi. Il giudice inviperito e offeso, intima all’avvocato di tacere e di restare in silenzio fino a che LUI non gli darà di nuovo la parola. Aggiunge che è stato fin troppo comprensivo visto che lo ha lasciato parlare solo per rispetto dei familiari presenti.(Rispetto?)

L’avvocato si mette seduto in silenzio, ed inizia la cosa più offensiva, ingiusta ed iniqua a cui abbia mai assistito. La P.M. chiama il difensore dell’imputato, educatamente e con un sorriso. Lo invita a sedersi accanto a lei e dice:

P.M.: “ Mi dica, cosa vuole?”

Avv.Dif.: “ Ma…..non so….cosa posso chiedere?”

P.M.: “ E’ lei che mi deve dire cosa vuole. Andiamo…..mi faccia una proposta…!”

Avv.Dif. (quasi in imbarazzo): “ ….ma …..vista la gravità del caso (l’imputato che ha causato l’incidente stava guidando alle 7,30 di mattina sotto l’effetto di stupefacenti)…non chiederò le attenuanti generiche (era censurato e tra le diverse condanne ce ne erano 2 correlate all’uso di stupefacenti). C’è comunque da dire a sua discolpa che non ha invaso la corsia opposta

completamente….(una testimone che lo seguiva con la sua auto da diversi chilometri, ha dichiarato che l’imputato procedeva a zig zag su un raccordo autostradale, accelerando e decelerando bruscamente, dando l’impressione che si stesse addormentando, tanto che lei ha provato più volte a richiamare la sua attenzione con il clacson. Dopo l’incidente, l’imputato dichiarerà che si era distratto perché gli era caduto il cellulare dal sedile e si era abbassato per raccoglierlo. Quando si è rialzato si è trovato nella corsia opposta, con di fronte un camion che rimorchiava un ruspa per il movimento terra, e non ha potuto evitare l’impatto. Il camion senza più controllo, ha invaso la corsia opposta, scontrandosi con l’auto di mio fratello, trascinandolo e schiacciandolo contro un muretto di cemento armato. Le forze dell’ordine intervenute testimoniano che il giovane era in evidente stato confusionale).

P.M. e Giudice: “ Ok. Guardiamo un po’…(sfogliano quel libretto dove presuppongo ci siano le TABELLINE con le quali fanno il conto della pena). Partiamo da 2 anni e 3 mesi. Poi togliamo questo, poi dimezziamo quello….Ok. Fanno 1 anno e 9 mesi. Poi c’è la pena pecuniaria….partiamo da € 588,00, poi togliamo questo e quello. Fanno € 180,00.”

Io e miei genitori ci siamo guardati negli occhi, indecisi se piangere, urlare, scappare….o tutte e tre le opzioni insieme. Mi sembrava di stare in un film dell’orrore, ma purtroppo non era ancora finita. Usciamo dalla stanza, con gli avvocati che commentano la pena, quasi soddisfatti (signori miei, lo sapevamo che non potevamo ottenere di più. Abbiamo fatto tutto il possibile, e in fin dei conti gli hanno dato più di tanti altri casi).

Esce la P.M., si mette in un angolo e continua a sbuffare e a commentare con una donna l’ardire dell’avvocato nel proporre le sue tesi. Mia mamma si allontana piangendo. Dopo un po’ vado a vedere come sta. E’ seduta su di una sedia e piange, disperata, scuotendo la testa e ripetendo:”Non è giusto. Me l’hanno ammazzato un’altra volta. Scrivi a Prodi, al Presidente della Repubblica, loro devono sapere quello che ci hanno fatto!” Torniamo indietro per la lettura della sentenza e troviamo il mio avvocato che discute animatamente con la P.M.

Veniamo chiamati per la sentenza. Mio padre si rifiuta di entrare. Mia mamma, povera mamma, nel tentativo ultimo di mantenere un filo di dignità, un ultimo barlume di “onore” che poco dopo verrà meschinamente calpestato, dice piangendo, a voce alta: “ Io voglio entrare e voglio che mi guardino negli occhi quando leggeranno la sentenza!”

La P.M. ( che tu sia maledetta!), mette in scena l’ultimo atto della sua commedia tragicomica, e scuote la testa alzando gli occhi al cielo, facendo in modo che tutti quanti potessero vedere quel gesto plateale, un gesto che diceva: “ Eccola, ma cosa vuole questa scocciatrice?”

Non potevo credere ai miei occhi! Non so cosa mi abbia impedito di buttarmi addosso a quella vipera, prenderla per i capelli e obbligarla a guardare gli occhi arrossati di mia madre per poi sbatterla contro un muro e urlarle che aveva appena tolto a mia madre l’ultimo briciolo di dignità che le rimaneva, e che nessuno avrebbe mai giudicato LEI per quello che aveva appena fatto!.

Siamo usciti, con gli occhi gonfi di lacrime e con il cuore a pezzi. La P.M. è uscita e si è subito dileguata. Poi è stata la volta del giudice (scritto con la lettera minuscola perché non merita neanche la maiuscola). Non ho resistito e mentre se ne andava senza neanche degnarci di uno sguardo, gli ho detto a voce alta (cosicchè sapesse chi stava parlando): “ Ma non provate mai vergogna per quello che fate?”. Apriti cielo!! L’illustrissimo giudice si volta di scatto e mi fulmina con lo sguardo. L’avvocato dei miei genitori si avvicina, mi chiude quasi la bocca, chiede al mio avvocato che mi faccia smettere: “ La prego, dica alla sua assistita che smetta con questo atteggiamento. Lei non sa a cosa va incontro. Sa che la potrebbero arrestare?” E poi rivolto all’emerito giudice, quasi a simulare un inchino: “ La perdoni signor giudice. La prego di non tener conto di quanto è stato detto”.

Perché ho voluto raccontare questa cosa?

Perché con ogni probabiltà, VOI avete subito la stessa cosa. Perché se nel mio caso è stata la P.M. con la complicità del giudice, nel vostro caso può essere stato l’avvocato difensore dell’imputato, ma il risultato è sempre lo stesso: queste storie infami nessuno le racconta. Restano dentro di noi, e ci uccidono piano piano, ci tolgono la dignità, ci impediscono di vivere degnamente le nostre giornate. Se almeno tutte le angherie che subiamo ci rendessero più cattivi, troveremmo la forza di fare qualcosa. Ma purtroppo il dolore e la disperazione provocano in noi l’effetto contrario: restiamo senza parole, incapaci di ribellarci, e talvolta il dolore è così profondo che preferiamo fare del male a noi stessi che a coloro che questo male lo hanno provocato.

A chi giova questo silenzio? A tutti quanti, meno che a noi.

Sanno forse i nostri governanti quello che dobbiamo subire fuori e dentro le aule di tribunale? Hanno una vaga idea di come passiamo le nostre giornate? Sanno che i nostri genitori vanno avanti grazie agli psicofarmaci, o che poco dopo la morte del proprio figlio hanno avuto “inspiegabilmente” un infarto? Tra una trasmissione televisiva e un festino a base di cocaina, qualcuno ha informato i nostri politici nullafacenti che quei bastardi che ci hanno portato via figli e fratelli se la caveranno con qualche spicciolo e nulla più?

No. Loro non sanno. Sono distanti anni luce dalla vita reale e da tutto il marcio che ci circonda.

Noi perlopiù restiamo in silenzio. Di rado alziamo la testa per uno scatto di orgoglio e organizziamo qualche protesta sommessa o qualche lettera ai giornali. Allora LORO fingono un qualche interessamento alla faccenda e fanno un bel discorsetto, ipotizzano una piccola modifica, e ne parlano sui giornali come se avessero scoperto un vaccino contro il cancro. Ma solo per il tempo necessario a far calmare le acque, per aspettare che questa notizia scompaia dalle pagine dei quotidiani ……fino al prossimo morto. Allora si ricomincia tutto daccapo….

Voglio essere sincera con me stessa e con voi tutti: prima dell’udienza, credevo fermamente che fosse fondamentale attivarsi per la causa della prevenzione, perché “quando il fatto è compiuto, non c’è molto altro da fare, tanto nessuno ci ridarà nostro figlio/fratello/”.

Ma francamente adesso penso che questa frase serva solo per giustificare e nascodere a noi stessi una realtà inaccettabile: sia come singoli individui che come associazione, non abbiamo ancora trovato il sistema per far sì che ci ASCOLTINO. E se non troviamo al più presto una soluzione a questa situazione divenuta oramai intollerabile, abbiamo fallito in uno degli scopi fondamentali del nostro statuto.

QUALE PREVENZIONE PUO’ ESSERCI DOVE NON C’E’ GIUSTIZIA?

Quale pentimento può esserci dove non esiste la benchè minima espiazione della pena?

Per quanto tempo continueremo ad accettare passivamente comportamenti disumani e sentenze inique, che con un rituale ormai automatico premiano l’assassino e umiliano il danneggiato?

Ritengo che l’Associazione debba prendere delle posizioni al riguardo. Ci sono delle iniziative già in atto? In caso contrario, cosa potremmo fare per far sì che quei palloni gonfiati ci ascoltino?

Abbiamo il preciso dovere di fare tutto ciò che è umanamente possibile per fermare questa situazione vergognosa, per noi stessi e per chi si affida a noi cercando conforto e aiuto.

Vi sarò grata per ogni idea o proposta da poter attuare.

D.C.

 

 

 

Ma ci prendono per scemi?

Così avremo il processo breve per gli incensurati; per gli altri, quelli già condannati, mettiamoci pure tutto il tempo che ci vuole. Entro 6 anni per l’incensurato deve arrivare la sentenza definitiva: colpevole o innocente; se non arriva, chissà quale sarà la formula? Prescrizione, fuori tempo massimo, squalificato (il giudice…).

Come al solito, pur di cavare Berlusconi dai guai, un sacco di delinquenti resteranno impuniti, le parti offese saranno fregate alla grande e la povera gente resterà a marcire in galera.

Fino ad ora i processi che si facevano per primi erano quelli con detenuti. Sei dentro? Ti processo subito. Perché magari sei innocente, anzi sei senz’altro innocente fino alla sentenza definitiva di condanna; e allora non devi stare in prigione un minuto di più di quanto strettamente necessario; alla sentenza definitiva ci dobbiamo arrivare nel minor tempo possibile. Anche perché ci sono i termini massimi di carcerazione preventiva; e se non mi sbrigo a farti il processo, finisce che esci per decorrenza termine e poi tutti si indignano per i giudici fannulloni che scarcerano i mafiosi.

Adesso, però, i processi che si debbono fare per primi sono quelli per gli incensurati: perché più di 6 anni non potranno durare e se non mi sbrigo non li finisco in tempo. Solo che gli incensurati, in genere, non stanno in galera in attesa del processo; sono, come si dice, a piede libero; proprio perché sono incensurati. E tuttavia prima si processeranno gli incensurati perché poi non si può più; e dopo i detenuti, che c’è tempo. Intanto se ne stanno in galera, magari da innocenti. E se si tratta di mafiosi che escono per decorrenza termini, pazienza.

Se poi scomodiamo un po’ di dialetto, viene da dire guagliò, accà nisciuno è fesso. Perché, in 6 anni, per una guida senza patente, uno scippo, un oltraggio al vigile urbano un processo lo si fa di sicuro. I problemi cominciano quando si tratta di processare un incensurato (ma guarda che combinazione, Berlusconi, con le sue sei prescrizioni, è incensurato) per falso in bilancio o frode fiscale. Perché, se cominciamo con le rogatorie alle isole Cayman e i sequestri di documenti in qualche caveau dell’Ossezia, in sei anni arriviamo sì e no al primo grado.

Ultima chicca: con questo sistema, Berlusconi & C. sempre incensurati saranno perché un processo per i reati che commettono loro non si riuscirà a fare mai. E così sempre al processo breve avranno diritto; in un circolo infinito. Ma proprio per scemi ci prendono?

di Bruno Tinti
da Il Fatto Quotidiano n°43 del 11 novembre 2009

L’INVITO DELLA FOLLIA

Vi lascio questa storia in regalo e vi auguro un buon week end 🙂
 
 
 
 
 
Tanto tempo fa, la Follia decise di invitare i sentimenti per un’insolita riunione conviviale…Raccoltisi tutti intorno ad un caffé, per animare l’incontro la Follia propose: “Si gioca a nascondino?”.
“Nascondino? Che cos’è?” – domandò la Curiosità. “Nascondino è un gioco”. Rispose la Follia.
“Io conto fino a cento e voi vi nascondete. Quando avrò terminato di contare, comincerò a cercare ed il primo che troverò sarà il prossimo a contare”. Accettarono tutti ad eccezione della Paura e della Pigrizia che rimasero a guardare in disparte…
“1,2,3. – la Follia cominciò a contare. La Fretta si nascose per prima, dove le capitò.
La Timidezza, esitante come sempre, si nascose su un gruppo d’alberi.
La Gioia corse festosamente per tutto il giardino non curante di un vero e proprio nascondiglio.
La Tristezza cominciò a piangere, perché non trovava un angolo adatto per occultarsi.
L’Invidia ovviamente si unì all’Orgoglio e si nascose accanto a lui dietro un sasso.
La Follia proseguiva con la conta mentre i suoi amici si nascondevano. La Disperazione era sconfortata vedendo che si era già a novantanove. “CENTO! – gridò la Follia – Adesso verrò a cercarvi!. ». La prima ad essere trovata fu la Curiosità, perché non aveva potuto impedirsi di uscire per vedere chi sarebbe stato il primo ad essere scoperto. Guardando da una parte, la Follia vide l’Insicurezza sopra un recinto che non sapeva da quale lato avrebbe potuto nascondersi meglio. E così di seguito furono scoperte la Gioia, la Tristezza, la Timidezza e via via tutti gli altri.
Quando tutti finalmente si radunarono, la Curiosità domandò: “Dov’è l’Amore?”.
Nessuno l’aveva visto…Il gioco non poteva considerarsi concluso e così la Follia cominciò a cercarlo. Provò in cima ad una montagna, lungo il fiume sotto le rocce. Ma dell’Amore nessuna traccia…setacciando ogni luogo…La Follia si accorse di un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò a frugare fra i rami spinosi, quando ad un tratto senti’ un lamento.
Era l’Amore, che soffriva terribilmente perché una spina gli aveva appena perforato un occhio. La Follia non sapeva che cosa fare, si scusò per aver organizzato un gioco così stupido, implorò l’Amore per ottenere il suo perdono e commossa dagli esiti di quel danno irreversibile arrivò al punto di promettergli che l’avrebbe assistito per sempre.
L’Amore rincuorato accettò le promesse e quelle scuse così sincere…Così da allora…
L’ Amore è cieco e la Follia lo accompagna sempre.

Voglia di giornalismo

Ogni giorno in Italia nasce, in media, una polemica che va ad alimentare i cosiddetti programmi di approfondimento. Ci sono polemiche che muoiono sul nascere e altre che si propagano per giorni, se non addirittura per settimane.

Bene, l’80% di queste polemiche sono assolutamente inutili e servono, nella maggior parte dei casi, a sviare l’attenzione pubblica da quelli che sono i reali problemi del nostro Paese.

Prendo ad esempio una di queste polemiche “scoppiata” qualche settimana fa e che ha riguardato, in particolare, una pubblicità di un importante marchio di calze italiano.

Nello spot in questione, fatto di immagini per nulla volgari (una ragazza che si mette un casco, una mamma che pettina i capelli a sua figlia, una panoramica sulla capitale), viene usato come colonna sonora l’inno di Mameli reinterpretato.

Alla vista di tutto ciò qualche politico ha storto il naso e ha pensato bene di scagliarsi contro gli ideatori di tale spot.

"Oggi più che mai è necessario ritrovare l’orgoglio e il rispetto dell’essere italiani, di appartenere ad una nazione e ad una cultura che vanno difese. L’inno nazionale è un simbolo di questa unità, dell’italianità, rappresenta il sacrificio di tanti italiani, uomini e donne che si sono immolati per la Patria. Invito l’Authority delle Telecomunicazioni a far rispettare la legge e ritirare lo spot che insulta l’inno, che insieme alla nostra Costituzione e alla bandiera è un emblema dello Stato."

Queste sono state le parole di Romano La Russa, coordinatore del Pdl lombardo. Ma non è stato l’unico politico ad infuriarsi e a ritenere vergognoso uno spot che di vergognoso non ha nulla.

Si parla di rispetto come se lo spot schernisse il nostro inno, si parla di vergogna come se lo spot offendesse l’Italia e gli italiani. Ma non c’è niente di tutto questo. "Lo spot rappresenta un omaggio che Calzedonia dedica a tutte le donne attraverso un’inedita interpretazione al femminile dell’Inno", fa sapere l’agenzia pubblicitaria Saatchi&Saatchi, "dove i termini Italia e Vittoria vengono fatti rivivere per la prima volta con il significato di nomi di donna. Un messaggio forte che fa appello alle infinite risorse delle donne".

Vorrei quindi capire dove sta il problema… A questi politici dà forse fastidio il fatto che l’inno si spinga troppo verso l’universo femminile? C’è forse l’obbligo di eseguire l’inno solo in caso di competizioni sportive, di eventi militari o di funerali di stato???

Ma la legge italiana non vieta di utilizzare l’inno di Mameli a scopi diversi da quelli celebrativi e dunque la pubblicità di Calzedonia è legittima e inattaccabile sotto ogni profilo giuridico. Che poi se ne voglia discutere la bellezza e/o l’originalità, il discorso è del tutto diverso; così come comprendere che uno spot nasce per vendere e che, dando adito a polemiche di questo tipo, non si fa altro che rafforzare il marchio.

Ma poi mi piacerebbe sapere con che faccia tosta gli esponenti del Pdl si permettono di fare una simile polemica quando tra i loro alleati troviamo elementi che hanno insultato pubblicamente il nostro inno invocandone la sostituzione e che si sono permessi di bruciare il tricolore.

La vera vergogna è avere certi elementi a governare il nostro Paese, la vera dignità dell’Italia è calpestata ogni giorno da fatti ben più gravi di uno spot che ritengo pulito e per nulla indecoroso.

Dico questo per allacciarmi a ciò che avevo scritto in apertura: ci sono polemiche che nascono e vengono portate avanti dai media e dai programmi di approfondimento solo per sviare l’opinione pubblica dai fatti che dovrebbero davvero indignare il popolo italiano.

Prendete Porta a Porta, Matrix (da quando non c’è più Mentana), Mattino Cinque; tutti programmi che dovrebbero fornire un approfondimento su ciò che avviene nel nostro Paese, ma che invece preferiscono dedicarsi ad altro. Si parla all’infinito del Premier che va a prostitute ma non si fa mai un approfondimento sui suoi processi; vengono fatte intere puntate sui fatti di cronaca (Cogne, Perugia e Garlasco) dove vengono ripetute all’infinito sempre le stesse cose (ormai conosciamo anche il contenuto della colazione della vittima) mentre non vengono mai fatte puntate di approfondimento su misteri italiani ancora oggi irrisolti.

E c’è un fatto su tutti che in questi ultimi mesi è uscito alla ribalta senza che nessuno (tranne una puntata di Annozero) abbia avuto il coraggio di approfondirlo; un fatto gravissimo, che se confermato dovrebbe portare ogni italiano onesto ad indignarsi. Mi riferisco alla trattativa che lo Stato avrebbe portato avanti con i vertici di Cosa Nostra negli anni delle stragi (92-93), mi riferisco ai mandanti a volto coperto del giudice Borsellino e mi riferisco al partito della seconda repubblica che la mafia avrebbe scelto come interlocutore dopo lo scioglimento della DC. Ci sono le carte, ci sono le testimonianze di coloro che hanno vissuto da vicino e dall’interno quegli anni, ma non c’è, a mio avviso, il vero interesse a trovare la verità.

Ma soprattutto c’è la volontà di non mettere il popolo italiano nelle condizioni di farsi domande e di voler chiedere chiarezza su quello che a tutti gli effetti sembra un tradimento della Patria. Forse tra una ventina d’anni ne sapremo di più o forse anche questo episodio andrà ad aggiungersi alla lista dei misteri italiani irrisolti. Intanto a noi tocca sorbirci inutili e sterili polemiche.

Sono questi i momenti in cui mi viene voglia di darmi al giornalismo.